- 25 Settembre, 2024
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Il punto d’incontro tra la terra e il mare? La luce. Intervista a Dario Boldrini, giardiniere planetario
Il mondo è un giardino e tutti noi ne siamo parte. L’essere umano è un tassello di un grande mosaico ed è chiamato a ridisegnare i contorni di un pianeta verde, che possa accogliere le generazioni future. Come? Prendendo spunto dal mondo vegetale, che ha sviluppato strategie di comunità per sopravvivere e permettere la vita.
Questi sono solo alcuni degli spunti di riflessione che Dario Boldrini, giardiniere planetario, ci propone. Abbiamo avuto il piacere di chiacchierare con lui, per scoprire di più sul suo lavoro di divulgatore, sui temi della riforestazione umana e sul suo rapporto con l’Elba. Senza ovviamente dimenticare il mare.
Dario, hai iniziato la tua carriera lavorando come architetto del paesaggio, disegnando parchi e giardini, e hai progettato i primi orti urbani in terrazza a Firenze. Com’è arrivata questa intuizione e quali sono stati i benefici a lungo termine di questo progetto?
Lungo il percorso professionale della progettazione dei giardini che ho intrapreso dal 2004 ho sempre avuto una spiccata dedizione per l’osservazione delle piante e dei bambini. Era come se si assoggettassero nelle virtù, nella bellezza, nelle espressioni più pure dell’essere umano. Ho cercato di coinvolgerli sempre nelle fasi progettuali di un giardino, perché da loro ricevevo le intuizioni migliori. L’occasione dei primi orti urbani in terrazza a Firenze è stata la prova che con i bambini si possono fare grandi cose, e grandi opere, perfino divertendosi!
Immaginare ad esempio di trasformare un grigio fondo di un supermercato in un bucolico giardino dove alcune piante in vaso possono volare, altre si uniscono ai fiori e alle aromatiche creando sinergie, dove poter sperimentare svariate tipologie di terre, semi, materiali naturali da toccare con mano, fino a trovarsi di fronte anche a un alto totem trasparente con dentro tutta la stratigrafia del suolo dalla roccia alla pacciamatura di foglie in superficie. Insomma, tutto questo, con i bambini e solo con loro, è stato immaginato per poi diventare realtà.
I benefici a lungo termine di questo progetto sono stati per il luogo la possibilità di rigenerarsi anche in uno spazio polifunzionale per le famiglie, per le feste, le pause dei dipendenti del negozio, oltre che per i bambini. Mentre per me, i benefici hanno di gran lunga superato le aspettative e i compensi materiali. E parlo di benefici in merito all’esperienza formativa ricevuta da tutti loro, e all’opportunità di mettersi al servizio delle mirabili e meravigliose fantasie che, da adulti, ahimè, si allontanano da quella perfezione che solo le piante e i bambini rivelano.
Oltre che architetto del paesaggio, sei da poco scrittore. Hai trovato similitudini tra il lavoro del giardino e il lavoro della scrittura?
Sono due mondi affascinanti nei quali ristora la mente e dimora la poesia. Una similitudine l’ho vissuta nel metodo di studio di questi due mondi che ho sempre fatto con un taccuino in mano su cui scrivevo pensieri e parole o disegnavo alberi, foglie, fiori. Anche l’aspetto dell’immaginario è affine a entrambi in quanto nelle “stanze” di un giardino può succedere di tutto e si lascia molto spazio ai temi onirici oltre che botanici, proprio come accade fra le pagine di un libro.
Anche nel processo creativo ho trovato similitudini in quanto l’opera finale di un giardino o di un libro è sempre il frutto di un progetto nutrito dalle esperienze, in un primo caso di coltura botanica e nell’altro di lettura. Maggiori sono le esperienze in entrambi i mondi e migliori sono i risultati.
È da poco uscito il tuo ultimo libro, “Il giardino planetario”. Da dove viene l’ispirazione di questo titolo e cosa desideri trasmettere al tuo lettore?
Il titolo del libro è stato ispirato dal libro “Il giardiniere planetario” di Gilles Clément, mio mentore. Il principio di “giardino planetario” che lui introduce nel 2008 con questo testo è a mio avviso la più lungimirante intuizione rispetto ai temi dell’ambiente e della cura autentica dei giardini e del paesaggio. Così ho scelto di rendere omaggio a questi valori con il titolo “il giardino planetario”. Con questo titolo vorrei trasmettere il valore planetario di ogni giardino che sia pubblico o privato, che sia piccolo o grande, in vaso o in pieno campo, in una vetta alpina o sulle coste di un’isola.
Allora ogni piccolo centimetro quadrato di natura può essere concepito come un tassello di un grande mosaico che è il giardino di tutto il pianeta verde in cui tutti noi vorremmo vivere. È anche un messaggio di speranza, un invito a prendere consapevolezza che possiamo fare qualcosa nel piccolo per un grande cambiamento.
Il giardino è un luogo di cura, condivisione e cooperazione, una metafora perfetta della crescita individuale di ogni essere umano. Come possiamo, noi tutti, contribuire a quella che chiami la “forestazione umana”?
Ogni essere umano cresce e si esprime al meglio se alimenta cura, condivisione e cooperazione. Gli esseri vegetali lo sanno bene e per questo hanno sviluppato strategie di comunità che hanno molto da insegnarci. Per contribuire a una “riforestazione umana” è opportuno prima di tutto osservare nel profondo le piante spogliandoci di egoismo e egocentrismo. Successivamente poi predisporsi all’accoglienza della diversità, ambire alla bellezza, stare a contatto con esseri viventi vegetali, raccogliere i semi che gratuitamente ci vengono offerti per diffonderli, replicarli, donarli alla terra. Ecco, la semina ad esempio è un semplice atto di cura verso il pianeta, un gesto di autentica riforestazione che nessuno più pratica.
Il mare e il giardino sembrano apparentemente lontani; il primo è vasto, sapido, sconosciuto; il secondo è limitato nello spazio, rigoglioso, pieno di vita che si manifesta alla luce del sole. Esiste un punto di incontro tra questi due mondi?
La luce. Il punto di incontro fra il mare e il giardino è la luce del sole. È nella prima fonte di nutrimento che sta un ponte fra questi due mondi. I raggi del sole scaldano il mare e contribuiscono alla vita e ai colori al suo interno oltre che a dare vita all’evaporazione e al ciclo atmosferico del clima che permette la vita. Gli stessi raggi luminosi sono l’origine del processo vitale delle piante per la fotosintesi e senza di loro non esisterebbero. Dunque anche se apparentemente questi due mondi non si incontrano, in realtà, nel profondo, sono fatti della stessa sostanza.
Sappiamo che la nostra Isola d’Elba ha un posto speciale nel tuo cuore. Vuoi raccontarci dell’esperienza con i bambini di Marciana Marina, e in generale del tuo lavoro di divulgatore con i più piccini?
L’Elba è da sempre nel mio cuore e finalmente da alcuni anni ho coronato il sogno di abitarci con la mia famiglia. Con la mia compagna Marta ho ideato e proposto per il comune di Marciana Marina una serie di laboratori per bambini che potessero portare un ponte fra gli elementi naturali che caratterizzano un’isola: la terra e il mare, fra le radici e le onde, fra le piante e le alghe. Il tutto con lo scopo finale di realizzare delle opere d’arte estemporanee e collettive a testimoniare la straordinaria capacità dei bambini di fare qualcosa insieme liberando la personale creatività e ispirazione.
C’è stata una grande partecipazione e la gioia più grande è stata quella di assecondare i loro slanci verso la scoperta di nuovi micromondi botanici, oppure stare con i piedi nell’acqua di mare scambiandosi fra le mani semi di alberi da frutto o fiori mediterranei e persino ritrovarci tutti insieme sulla spiaggia al tramonto con una grande tela bianca davanti su cui dar vita alla prima grande opera collettiva Terramare creata dai bambini in questo piccolo comune.
Con i più piccoli ho iniziato l’attività di divulgatore negli ultimi 10 anni. Prima durante le mostre mercato di piante e fiori, poi nei parchi o nei giardini pubblici durante gli eventi, poi nelle scuole. È un’azione un po’ teatrale-scientifica in quanto porta agli occhi dei bambini alcune verità scientifiche attraverso un linguaggio e una mimica diversa da quella frontale statica. Mi muovo con vecchie valigie dalle quali escono centinaia di semi, vasetti di terra, rastrelli, piante e sarchielli! Con loro esperimento, osservo e interagisco, mi diverto. È la didattica della botanica, del giardino e del bosco, è la pedagogia della natura.
Come immagini il giardino del futuro?
Ah… non passa giorno in cui non immagini un pianeta ricoperto da un vasto mantello verde e più mi avvicino e più in quel verde mi accorgo che si aprono varchi fra i rami, si intravedono fiori esplosivi di polline, frutti ricchi di semi, voli incessanti di api e farfalle. Vedo edere lucenti che si riprendono lo spazio nelle città, ailanti bistrattati e incompresi che di anno in anno rivelano il paradiso a cui ambire.
Immagino bambini che di notte escono nel giardino di casa per potare una lonicera o un bosso a forma di drago o di scoiattolo per sorprendere i passanti al mattino seguente. Immagino bambini con le tasche piene di semi raccolti dai frutti che mangiano o dai loro pomeriggi in campagna o nei parchi e con quelle tasche so che possono cambiare il pianeta.
Sogno un giardino che ha sempre meno confini e sempre più curatori appassionati, che si apre al paesaggio e all’imprevisto. Un giardino dove autoctono o alloctono sono soltanto scioglilingua e regna sovrana la biodiversità botanica al passo con i tempi, le mutazioni planetarie e climatiche, la resilienza. Ecco, io immagino il giardino delle piante e non dell’uomo, quello che strizza l’occhio alla selva o all’oasi e non al monotono pratino verde con marciapiede soffiato, siepe finta che scherma e arredi tristi di plastica. Il futuro, per me, è tutta un’altra cosa, è tutto un giardino.
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