- 21 Febbraio, 2024
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Collaborazioni
Il mio obiettivo? Far dubitare chi legge. Un’intervista a Catena Fiorello.
Raccontare storie è per qualcuno molto più che un mestiere, è una vera e propria vocazione, qualunque sia il mezzo con cui si esercita.
Per Catena Fiorello ad esempio può essere la sceneggiatura, la letteratura, la scrittura non fiction, la televisione: non c’è nulla che non abbia messo alla prova la sua forza narratrice. E in occasione del suo premio La Tore a Marina Marciana, sull’Isola d’Elba, per l’uscita del romanzo Ciatuzzu (Rizzoli), ci siamo sedute per farle qualche domanda.
Abbiamo parlato dei suoi libri, storie di amore, perdita, distacco, relazioni familiari complicate, incomprensioni, dolori e gioie, storie insomma che abbracciano tutto lo spettro emotivo del vissuto umano, e che lo fanno senza timidezza. Abbiamo parlato di quando e come è nata la sua ispirazione narrativa, di cosa si augura che il lettore tenga con sé delle sue storie, e dell’importanza di farsi domande sempre. E naturalmente, c’entra anche il mare.
Se dovessi riavvolgere la memoria, e ricordare il momento in cui è iniziato il tuo amore per la scrittura, cosa vedresti davanti a te? Ricordi una circostanza particolare nella tua vita in cui hai compreso che il romanzo poteva essere il medium giusto per raccontarti e raccontare?
Ricordo perfettamente il momento in cui è nato il mio piacere e interesse per la scrittura, ed è stato durante il liceo, in particolare dopo il biennio, che allora si chiamava ancora ginnasio. In prima liceo arriva come di consuetudine la nuova professoressa di greco, che nel mio caso si chiama Rosa Peluso e con cui sono ancora oggi in contatto. Oltre a insegnarci a tradurre i classici, a comprendere la letteratura, a leggere e a interpretare correttamente i messaggi del greco antico, ci spronava in generale a leggere di tutto, non solo i testi classici.
Ci incoraggiava a leggere i quotidiani, che portava la mattina in classe per noi. Questa professoressa era ed è anche oggi un faro per me, la considero la mia mentore, perché era ed è una donna illuminata che ci ha insegnato molte cose oltre alla letteratura greca. Mi spronò a mettermi a scrivere, e per me è stato lì che ho cominciato a trasferire sulla carta le mie emozioni.
Parliamo di uno in particolare dei tuoi romanzi: come è nato Picciridda (2006), e qual è stato il processo creativo dietro la sua scrittura? Come ti sei sentita nel vedere il tuo romanzo trasformato in un film acclamato da critica e pubblico?
Picciridda nasce dopo un lungo lavoro di preparazione. Prima di questo romanzo avevo pubblicato per Baldini e Castoldi una serie di interviste, intitolata Nati con la camicia, in cui dialogavo con personaggi dell’industria, dello spettacolo, della letteratura che come comune denominatore avevano l’essersi fatti da sé. A questa raccolta seguì poi anche l’omonimo programma TV su Rai Tre. E proprio in quella occasione, Cristina Lupoli Dalai [co-direttrice di Baldini e Castoldi ndr], mi fece notare che il prologo che avevo scritto per questo libro era già in sé un racconto, e mi disse: “Perché non ti dedichi a scrivere un romanzo, alla narrativa pura? Hai un storia da raccontare?”, e io risposi immediatamente di sì.
Avevo una storia da raccontare, quella dei figli e delle figlie dei migranti. D’estate da ragazza andavo spesso a Letojanni, il paese di mio padre dove viveva la mia omonima nonna paterna, e vedevo tornare per le vacanze tutti gli emigrati dalla Germania e dalla Svizzera. Vedevo i loro figli, non sempre allegri e sorridenti, ma anzi spesso pensierosi, e così parlando con loro scoprivo del loro senso di estraneità per il luogo in cui vivevano, e per la terra natale dei loro genitori, alla quale non si sentivano legati dalla nascita. Ho visto la loro sofferenza e il loro dolore. E così iniziai a immaginare la mia storia, mi presi poi un paio di anni di tempo per costruirla, per fare ricerche accurate, e così è nato Picciridda, il libro che forse ancora oggi meglio mi rappresenta: una storia sì di dolore, ma anche di riscatto, di forza interiore e di tenacia.
I migranti sono stati e continuano ad essere degli eroi, perché ci vuole tanto coraggio per lasciare la propria casa e avventurarsi alla ricerca di un pezzo di pane. Vedere trasformato Picciridda in un film è stata una gioia immensa. Ma sai qual è stata la gioia più grande? L’incontro con il regista Paolo Licata: è stato lui a cercarmi, a propormi di fare un film, che sarebbe stato il suo primo lungometraggio. In lui ho trovato un’anima affine, la persona che poteva comprendere davvero il dolore di quelle persone e trasporlo su pellicola.
Nei tuoi romanzi affronti senza tirarti indietro argomenti di grande peso, come la perdita, la violenza contro le donne, la complessità delle dinamiche familiari, la povertà, la migrazione in cerca di un futuro migliore. In che modo vorresti che la tua scrittura influenzasse la conversazione e la consapevolezza su questi temi?
Mi accontenterei di sapere che con uno dei miei romanzi, uno drammatico come Picciridda o Ciatuzzo, o più “leggero” come Le signore di Monte Pepe, o romantico all’apparenza come Amuri, o Tutte le volte che ho pianto, io sia riuscita in qualche modo a insinuare in chi legge qualche dubbio sulle proprie certezze. A volte, nelle relazioni e anche nelle famiglie, si compiono errori più o meno consapevoli, talvolta anche apertamente cattiverie, e si susseguono incomprensioni e non detti che intossicano i rapporti, tutto perché non si trova il coraggio di dirsi la verità. Per questo mi basterebbe instillare dei dubbi in chi legge, e far crescere così nelle persone una consapevolezza, e la voglia di un cambiamento, e questo è ciò che fra le righe cerco di suggerire con le mie parole.
Come riesci a bilanciare la tua capacità di innovazione letteraria mantenendo, al contempo, un forte legame con le tradizioni e la cultura della tua terra natale?
In realtà trovo che questo bilanciamento sia piuttosto semplice da realizzare. Trovo che le tradizioni, i modi di fare e di concepire la vita e i rapporti tipici della mia terra, la Sicilia, siano, per quanto arcaici sotto alcuni aspetti, anche molto aperti e moderni. Trovo più modernità nella Sicilia antica e arcaica che per certi versi nel modo di vivere di oggi, molto “bacchettone” e dominato da un’ossessione per il politically correct che, come nelle relazioni e nelle famiglie di cui sopra, a volte finisce per intossicare i rapporti tra le persone.
Temiamo di essere giudicati dagli altri, e smettiamo così di praticare l’onestà. Io stimo molto di più le persone che riescono ad andare anche controcorrente e a non omologarsi “per paura di”. E da siciliana, da donna del sud, da persona passionale e libera quale mi considero, tengo sempre questo a mente, poiché sono stata educata all’onestà intellettuale. A volte sbaglio anche io, e posso avere atteggiamenti discutibili anche io, ma cerco sempre di avere una guida nel farmi delle domande, e chiedermi come possa reagire l’altra persona a seguito di una mia azione.
La tua carriera nella letteratura ti ha portata a vincere il premio La Tore a Marina Marciana, sull’Isola d’Elba, in occasione dell’uscita nel 2023 del tuo ultimo romanzo Ciatuzzu (Rizzoli). La tua isola d’origine, la Sicilia, è sempre presente nei tuoi romanzi, e non solo nel dispiegarsi della narrazione, ma anche in una sinestesia di profumi, suoni e colori. Hai ritrovato un po’ di questi stessi profumi, colori e suoni anche nel mare dell’Elba? Pensi che porterai un po’ dell’Elba nelle tue narrazioni future?
Ho trovato con l’Elba tantissime connessioni. Appena arrivata, il primo impatto mi ha portata con sorpresa a constatare una grande somiglianza con le Eolie. Se ci pensi alla fine le isole si somigliano tutte, certo ognuna con le sue peculiarità, e magari con uno stile architettonico specifico, ma la vegetazione delle nostre isole si somiglia tanto, è quella della macchia mediterranea. Quel senso di essere tutti “figli del mare” che ho percepito venendo qui, è lo stesso sentimento che già conoscevo, una consapevolezza che porto e porterò sempre con me.
La storia stessa di Acqua dell’Elba mi ha molto colpita, perché è una storia che racconta l’amore e la passione per un luogo, il voler narrare la propria isola attraverso una artigianalità d’eccezione, e raccontare a tutti i suoi magnifici profumi. Il primo incontro con Acqua dell’Elba per me è avvenuto appena sbarcata sull’isola, nella boutique in cui ho provato per la prima volta e acquistato un profumo della linea Classica. E questo profumo racconta precisamente l’isola: lo definirei proprio il profumo del vento dell’Elba. Magari potrebbe essere un’idea per il nome di un futuro profumo!
Il mare Mediterraneo ha un’influenza sulla tua scrittura e sul tuo stile? Pensi che abbia in qualche modo una parte nell’ispirarti quale storia raccontare?
Poc’anzi ho parlato di vento, tu ora mi parli di mare, e io penso che siano due elementi profondamente interconnessi. Due fenomeni naturali, due principi basilari di ogni isola. Il mare è da sempre ispiratore di tante storie incredibili. Chi è in qualche modo figlio del mare avrà sempre voglia di raccontare le sue storie. E proprio per questo anche io continuerò a raccontarle nel mio mondo letterario, perché ne ho bisogno e perché mi riconosco solo nell’impetuosità, nei moti di irrequietezza e talvolta di calma, nella potenza, nella voglia di esserci che è propria del mare, e che alla fine è un po’ come l’essenza stessa della mia vita.
Il tuo talento e la tua carriera non si esauriscono nella scrittura, ma abbracciano da sempre anche lo spettacolo. Quali sono i tuoi obiettivi futuri, sia nella scrittura che nella televisione e nel cinema? Stai lavorando a qualche progetto che ti entusiasma in questo momento?
Nel corso del tempo ho avuto diversi contatti con il cinema, anche come attrice. Ad esempio ho recitato in una fiction [Svegliati amore di Ricky Tognazzi e Simona Izzo ndr] e ho fatto un cammeo in A mano disarmata, un film di Claudio Bonivento dedicato a Federica Angeli. Cimentarmi come attrice è stato molto bello, mi piace molto recitare, anche se al momento ciò che del cinema mi interessa di più è senz’altro la sceneggiatura, e spero di veder realizzati dei progetti ai quali sto lavorando, di cui non posso ancora parlare al momento.
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