- 10 Ottobre, 2024
|
Arte & Cultura
E il naufragar m’è dolce in questi versi dedicati al mare
Immaginate una spiaggia, le onde marine che vi si infrangono, lente e costanti. Lo sciabordio dell’acqua e il vento sono gli unici rumori che permeano l’ambiente.
Seduta sul bagnasciuga c’è una persona, non importa se uomo o donna.
Ha gli occhi chiusi e in mano una penna e un taccuino.
Questa persona può avere tanti nomi. Alcuni li conosciamo – Giacomo Leopardi, Charles Baudelaire, Alda Merini, Maria Luisa Spaziani, Saffo – altri non ancora, altri non li conosceremo mai.
Sono i poeti e le poetesse che chiedono udienza al mare.
Il mare: un’immagine, infiniti significati
Il legame tra mare e letteratura è antico quanto il mondo stesso; d’altro canto, le immagini che il mare evoca sfiorano l’infinito.
Il mare come fonte di vita e di ricchezza, ma anche di buio, perdita, morte.
Il mare come viaggio, metaforico o meno, nella tempesta e nella tranquillità.
Il mare come l’inconscio, infinito e profondo, che cerchiamo di conoscere e guadare.
Oggi vogliamo proporvi alcune delle poesie ispirate al mare, in cui è centrale nelle atmosfere o nei significati.
Versi di autori italiani e stranieri, dall’antichità ai giorni nostri, senza la pretesa di essere esaustivi, al massimo sentimentali.
Ulisse: una vita e una morte per mare
Non possiamo cominciare questo viaggio se non partendo dal nostro Mare – o, è proprio il caso di dirlo, dal mare nostrum -, protagonista indiscusso dei poemi omerici e in particolare dell’Odissea.
Nell’opera il mare è sfondo e specchio interiore. Con il suo umore rispecchia gli animi dei valorosi eroi che vogliono varcarlo o ne sono costretti. A volte è calmo, e nella calma alimenta la sensazione di imminente pericolo. Altre volte si manifesta violento, ma è una violenza protettiva, che spinge l’eroe a farsi valere e a non farsi soggiogare dal Fato e dagli Dei.
Il mare è anche la principale via di conoscenza e riconoscimento. Nel nono canto dell’Odissea, ad esempio, è così che il Ciclope si rivolge a Ulisse e i suoi compagni, per cercare di capire chi siano. “Da quale mare venite?” diviene più forte di un “chi siete?”
Canto IX, Odissea
‘Stranieri, chi siete? Da dove venite per le vie del mare?
Per un qualche affare o alla ventura state vagando
sul mare, come fanno i pirati che vagano
rischiando la vita, e recano danno a gente straniera?’. Così disse, e a noi, il cuore si spezzò,
spaventati dalla voce profonda e dall’enorme figura.
Ma anche così, tuttavia, in risposta gli dissi
‘Via da Troia, noi, Achei, sbattuti fuori rotta
da ogni sorta di venti sopra il grande abisso del mare
cercavamo il ritorno, ma altra via, altri percorsi tenemmo:
questo, io credo, fu di Zeus l’intento e il pensiero.
“Infin che ’l mar fu sovra noi richiuso”: la morte di Ulisse ne La Divina Commedia
Resta il protagonista, cambia tutto il resto. Divina Commedia, Inferno, Canto XXVI: Dante raggiunge l’ottava bolgia dell’ottavo Cerchio, che ospita i consiglieri di frode. Tra questi c’è Ulisse.
Ulisse è reo di aver trascinato i suoi compagni verso le colonne d’Ercole, tentando di attraversarle. Il mare, qui simbolo di quell’ignoto che l’Uomo non deve superare, si fa giudice categorico, causando il naufragio della “picciola nave” e la morte di Ulisse e dei compagni.
Inferno, Canto XXVI
[…] ma misi me per l’alto mare aperto
sol con un legno e con quella compagna
picciola da la qual non fui diserto. […]
“O frati”, dissi “che per cento milia
perigli siete giunti a l’occidente,
a questa tanto picciola vigilia
d’i nostri sensi ch’è del rimanente,
non vogliate negar l’esperienza,
di retro al sol, del mondo sanza gente.
Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza”. […]
Tre volte il fé girar con tutte l’acque;
a la quarta levar la poppa in suso
e la prora ire in giù, com’altrui piacque,
infin che ’l mar fu sovra noi richiuso».
Sul mare, John Keats
Spostiamoci ora in Inghilterra. On the sea è un sonetto shakespeariano di John Keats. La voce narrante consiglia alle persone dalle “pupille stanche e afflitte” della vita quotidiana di andare a sedersi in silenzio, in riva al mare, per silenziare i pensieri e ritrovare la calma.
Sul mare
Di sussurri immortali avvolge lidi desolati
E con ansito possente riempie mille caverne,
Sin che l’incanto d’Ecate non l’avverte
Di ritirarsi, e lasciarle all’ombra sempiterna
Colme di grida. Spesso è così felice
Che la sua calma per giorni e giorni non smuove
la conchiglia caduta, quando i venti del cielo
Liberi infuriano in tempesta acuta.
Oh tu che hai le pupille stanche e afflitte,
Nutrile dell’immensità del mare;
Tu che le orecchie hai stordite di volgare rumore
O troppo sazie di troppo ricche melodie,
Ascolta, sino a trasalire, ciò che dicono le vecchie caverne:
Il coro, sembra, delle antiche ninfe del mare.
Come se il mare separandosi, Emily Dickinson
Facciamo un salto oltreoceano, negli Stati Uniti. Forse la più celebre poetessa in lingua inglese di tutti i tempi, Emily Dickinson non poteva certo esimersi dal dedicare una poesia al mare.
Sul mare
Di sussurri immortali avvolge lidi desolati
E con ansito possente riempie mille caverne,
Sin che l’incanto d’Ecate non l’avverte
Di ritirarsi, e lasciarle all’ombra sempiterna
Colme di grida. Spesso è così felice
Che la sua calma per giorni e giorni non smuove
la conchiglia caduta, quando i venti del cielo
Liberi infuriano in tempesta acuta.
Oh tu che hai le pupille stanche e afflitte,
Nutrile dell’immensità del mare;
Tu che le orecchie hai stordite di volgare rumore
O troppo sazie di troppo ricche melodie,
Ascolta, sino a trasalire, ciò che dicono le vecchie caverne:
Il coro, sembra, delle antiche ninfe del mare.
L’eternità, Arthur Rimbaud
E di eternità associata al mare parlano anche i francesi. Riportiamo i versi di una poesia meravigliosa di Arthur Rimbaud, il più giovane, scapestrato e geniale della scuola simbolista, che ritrova nel mare il significato stesso di eternità.
L’eternità
È ritrovata.
Che cosa? L’eternità.
È il mare mischiato
col sole.
Anima sentinella,
mormoriamo la confessione
della notte così nulla
e del giorno infuocato.
Dagli umani suffragi,
dagli slanci comuni
là ti liberi
e voli dove vuoi.
Poiché soltanto da voi,
o braci di raso,
il dovere si esala
senza che si dica: finalmente.
Là, nessuna speranza,
nessun orietur.
Scienza con pazienza,
il supplizio è sicuro.
È ritrovata.
Che cosa? L’eternità.
È il mare mischiato
col sole.
L’uomo e il mare, Charles Baudelaire
Pienamente dedicata al rapporto col mare è la poesia “L’Homme et la Mer”, l’uomo e il mare, di Charles Baudelaire, presente nella raccolta I fiori del male. I parallelismi sono magnifici, i collegamenti chiari. L’impressione è quella di trovarci di fronte a un piccolo miracolo di connessioni e simboli che solo la poesia può creare.
L’uomo e il mare
Uomo libero, amerai sempre il mare!
Il mare è il tuo specchio;
tu contempli l’anima tua
nell’infinito svolgersi dell’onda
e il tuo spirito non è abisso meno amaro.
Godi nel tuffarti in seno alla tua immagine;
l’abbracci con gli occhi e con le braccia,
e a volte il cuore si distrae dal suo battito
al suon di questo selvaggio ed indomabile lamento.
Discreti e tenebrosi ambedue siete:
uomo, nessuno ha mai sondato il fondo
dei tuoi abissi; nessuno ha conosciuto,
mare, le tue più intime ricchezze,
tanto gelosi siete d’ogni vostro
segreto.
Ma da secoli infiniti
senza rimorso né pietà lottate
fra voi, talmente grande è il vostro amore
per la strage e la morte, o lottatori
eterni, o implacabili fratelli.
Kavafis, Lasker-Schüler, Pessoa
Konstantinos Kavafis ha dedicato al mare gran parte dei suoi componimenti. Nome greco, nato ad Alessandria D’Egitto, In Kavafis la poesia è commistione di memoria e mediterraneità, miti e classici, onirismo e bellezza.
Mare al mattino
Che io mi fermi qui; per un’occhiata alla natura anch’io.
Di un cielo sgombro e del mare al mattino
il blu brillante con la gialla riva; tutto
bello, e tutto in piena luce.
Che io mi fermi qui. E m’illuda di aver visto
(certo che ho visto, in quell’attimo di sosta);
non vittima anche qui dei miei abbagli
dei miei ricordi dei miei fantasmi di lussuria.
È invece tedesca Else Lasker-Schüler, poetessa sublime, definita «il più forte e impervio fenomeno lirico della Germania moderna». Lei, col mare, si identifica. “Sono un mare senza riva”, che “sempre devo fare come vuole la tempesta”.
Solo te
Il cielo si porta nel cinto di nuvole
La luna ricurva.
Sotto la forma di falce
Io voglio riposarti in mano.
Sempre devo fare come vuole la tempesta,
Sono un mare senza riva.
Ma poiché tu cerchi le mie conchiglie,
Mi si illumina il cuore.
Stregato
Giace sul mio fondo.
Forse il mio cuore è il mondo,
Batte –
E cerca ancora te –
Come ti devo invocare.
Una parola anche per Fernando Pessoa, forse il più celebre poeta e scrittore portoghese. L’autore de Il libro dell’inquietudine ha dedicato al mare molti dei suoi componimenti. Condividiamo Le isole fortunate. Leggetela tra voi e voi. Non avete l’impressione di sentire la speranza che vi chiama?
Le isole fortunate
Quale voce giunge sul suono delle onde
che non è la voce del mare?
È la voce di qualcuno che ci parla,
ma che, se ascoltiamo, tace,
perché si è ascoltato.
E solo se, mezzo addormentati,
senza sapere di udire, udiamo,
essa ci dice la speranza
cui, come un bambino
dormiente, dormendo sorridiamo.
Sono isole fortunate,
sono terre che non hanno sito,
ove il Re dimora aspettando.
Ma, se ci andiamo svegliando,
tace la voce, e c’è solo il mare.
Un tuffo dove l’acqua è più blu: poesie italiane da ricordare
Leggendo il titolo dell’articolo avrete immediatamente colto la citazione e vi sarete chiesti: quando arriva Leopardi?
L’infinito è tra le liriche più celebri dell’intera letteratura italiana. La forza della poesia sta nella sua potenza evocativa in grado di permettere al lettore di trarre dal testo il proprio significato. Ed è proprio questo che fa la differenza.
L’infinito
Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
E questa siepe, che da tanta parte
Dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
Spazi di là da quella, e sovrumani
Silenzi, e profondissima quiete
Io nel pensier mi fingo; ove per poco
Il cor non si spaura. E come il vento
Odo stormir tra queste piante, io quello
Infinito silenzio a questa voce
Vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
E le morte stagioni, e la presente
E viva, e il suon di lei. Così tra questa
Immensità s’annega il pensier mio:
E il naufragar m’è dolce in questo mare.
Potremmo nominare tantissimi altri poeti. Alda Merini, Maria Luisa Spaziani, Andrea Zanzotto, Valerio Magrelli, Vittorio Sereni, Salvatore Quasimodo: tutti i più grandi e le più grandi hanno scritto del mare.
Voglio però salutarvi con tre testi che, seppur non propriamente considerabili poesie, per me lo sono.
La prima poesia è una canzone. O meglio, la canzone che dà il titolo a un album interamente dedicato al mare. Si intitola crêuza de mä. L’autore è Fabrizio De André.
La crêuza (crosa) de ma altro non è che una mulattiera, una di quelle vie acciottolate tipiche della Liguria, volte a permettere all’acqua di raggiungere il mare ed evitare allagamenti. L’intero album è dedicato al mare, e a raccontarlo sono i suoi protagonisti più umili: un marinaio; un predone; una massaia; un poeta.
Crêuza de mä
Umbre de muri, muri de mainé
Dunde ne vegnì, duve l’è ch’ané
Da ‘n scitu duve a l’ûn-a se mustra nûa
E a nuette a n’à puntou u cutellu ä gua
E a muntä l’àse gh’è restou Diu
U Diàu l’è in çë e u s’è gh’è faetu u nìu
Ne sciurtìmmu da u mä pe sciugà e osse da u Dria
A funtan-a d’i cumbi ‘nta cä de pria
E ‘nt’a cä de pria chi ghe saià
Int’à cä du Dria che u nu l’è mainà
Gente de Lûgan facce da mandillä
Qui che du luassu preferiscian l’ä
Figge de famiggia udù de bun
Che ti peu ammiàle senza u gundun
E a ‘ste panse veue cose ghe daià
Cose da beive, cose da mangiä
Frittûa de pigneu giancu de Purtufin
Çervelle de bae ‘nt’u meximu vin
Lasagne da fiddià ai quattru tucchi
Paciûgu in aegruduse de lévre de cuppi
E ‘nt’a barca du vin ghe naveghiemu ‘nsc’i scheuggi
Emigranti du rìe cu’i cioi ‘nt’i euggi
Finch’ou matin crescià da puéilu rechéugge
Frè di ganeuffeni e d’è figge
Bacan d’a corda marsa d’aegua e de sä
Che a ne liga e a ne porta ‘nte ‘na crêuza de mä
La seconda è una filastrocca di Gianni Rodari.
Siamo così abituati a pensare che la poesia sia una “cosa da grandi”, che forse possiamo perdere di vista un’antica verità: il poeta è il bambino. Si possono scrivere belle poesie solo se si resta in contatto con la propria voce infantile, dando ascolto al fanciullino di pascoliana memoria.
Io decido di chiamarla poesia, oltre che filastrocca. Sono sicura sarete d’accordo con me.
La voce del mare
La voce del mare nella conchiglia
ascolta il bambino e si meraviglia.
Pronto? Ti aspetto il mare dice
ho navi e isole per farti felice.
Vorrebbe rispondere il bimbo al mare:
Prepara i pesci, verrò a pescare.
Ma non è certo di parlar bene
la lingua dei pesci e delle sirene.
Siamo arrivati alla terza e ultima non-poesia. Si tratta di uno stralcio di una sceneggiatura di un film di qualche anno fa. S’intitola: Il postino. L’attore protagonista è Massimo Troisi.
Nel film, Massimo Troisi fa amicizia con un poeta cileno alle prese con la scrittura di una poesia. La poesia si chiama Ode al mare, e il poeta Pablo Neruda.
I due dialogano su una spiaggia sul cosa sia la poesia. Su come sembri una questione da intellettualoni, che non si possa avvicinare in alcun modo alla gente comune, alla gente umile e povera. Le considerazioni che entrambi arriveranno a fare sull’argomento sono sorprendenti. Potete vedere l’intero spezzone qui.
Il postino, dialogo sulla spiaggia
Troisi: “Mi sono sentito come una barca sbattuta in mezzo a tutte queste parole.”
Neruda: “Come una barca sbattuta dalle mie parole. Tu lo sai cosa hai fatto, Mario?”
Troisi: “No, che ho fatto?”
Neruda: “Una metafora.”
Troisi: “No…”
Neruda: “Sì.”
Troisi: “No…ma veramente?”
Neruda: “Sì.”
Troisi: “Vabbè però non vale perché non la volevo fare.”
Neruda: “Volere non è importante perché le immagini nascono casuali.”
Troisi: “Cioè voi che volete dire allora, che il mondo intero proprio…dico col mare, col cielo, con la pioggia, le nuvole…”
Neruda: “Ora tu puoi già dire eccetera eccetera…”
Troisi: “Eh, eccetera eccetera… cioè il mondo intero allora è la metafora di qualcosa?”
Neruda:…
Troisi: “Ho detto una st***ata…”
Neruda: “No, per niente. Facciamo un patto. Adesso faccio un bel bagno e rifletterò sulla tua domanda. E poi domani ti darò una risposta.”
Troisi:“Veramente?”
Neruda:“Veramente”.
Scritto da
Share