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Gente di mare

Donne di mare: Sylvia Earle, oceanografa, biologa, attivista

For all at last return to sea -to Oceanus, the ocean river, like the ever-flowing stream of time, the beginning and the end.

Inizia con questa citazione di Rachel Carson, un’altra donna di mare nonché una delle prime paladine climatiche, il documentario Mission Blue (2014, su Netflix) che racconta la vita di Sylvia Earle, oceanografa americana e la sua instancabile lotta per la salvaguardia degli oceani.

Nata nel 1935 in New Jersey, Earle è una donna incredibile, riconosciuta dalla Biblioteca del Congresso americano come leggenda vivente, nominata prima eroina del pianeta dal Time e spesso conosciuta con il suo soprannome “Her Deepness” (Sua Profondità).

Da ragazzina, cresciuta nel New Jersey in una famiglia strettamente connessa con la natura (la madre veniva considerata una donna strana, una bird lady che dava rifugio a tutte le creature ferite o in difficoltà) vive in completa libertà il suo rapporto con l’ambiente trascorrendo intere giornate nei boschi, alla scoperta delle meraviglie e dei segreti di flora e fauna.

Quando Earle ha dodici anni la sua famiglia si trasferisce in Florida ed è lì che la sua curiosità verso tutto quello che è natura la porta all’oceano che, estendendosi vasto ed infinito alle spalle di casa sua, per lei non è altro che il suo personale giardino sul retro.

Del mare Earle, da subito, ama tutto: le sue piante, i suoi abitanti, l’ecosistema intero che, verso la fine degli anni 40 popola selvaggio e rigoglioso il Golfo del Messico.

Assecondando la sua passione Earle consegue una laurea in Scienze presso l’Università della Florida nel 1955, poi un master nel 1956 e un dottorato in Algologia (lo studio delle alghe) alla Duke University nel 1966.

Nonostante fossero anni difficili per le donne che volevano studiare e perseguire una carriera accademica, Earle, che aveva sempre desiderato diventare una scienziata e aveva tratto ispirazione dalle ricerche di Jacques Cousteau e William Beebe, non demorde.

Nel 1964 è l’unica donna in un gruppo di settanta uomini a partecipare alla campagna oceanografica internazionale nell’Oceano Indiano.

Lì porta avanti uno studio puntuale sulle alghe, catalogando minuziosamente tutte le diverse specie con le quali viene a contatto.

Di quella spedizione ricorda come la scoperta più grande fu rendersi conto di non conoscere quasi nulla di quegli incredibili mondi marini. Attorno a loro, l’oceano sembrava infinito così come infinita pareva fosse la sua capacità di assorbire la presenza umana.

Sempre quell’anno Earle partecipa ad un’altra spedizione esplorativa marina, dove continua il suo lavoro sulle alghe. La catalogazione completa delle specie individuate finirà nella sua tesi di laurea che è ora conservata allo Smithsonian Institution di Washington.

Nel 1969 fa domanda per entrare nel Progetto Tektite che prevedeva l’installazione di una base sottomarina, a circa quindici metri sotto la superficie del mare al largo delle coste delle Isole Vergini. Lì, gli scienziati avrebbero vissuto immersi nella loro area di studio per diverse settimane. Nonostante Earle avesse accumulato più di 1.000 ore di ricerca sott’acqua fu scartata dal programma. L’anno successivo venne però selezionata per guidare la prima squadra di acquanaute femminile, nel programma Tektite II.

Sono anni intensi e complessi per lei che dopo Tektite II riceve maggiore attenzione mediatica e conseguente pressione. Earle ricorda infatti come fosse difficile, soprattutto sotto lo sguardo di un’intera nazione, essere una brava moglie, una brava madre e allo stesso tempo una scienziata affermata che voleva continuare a crescere professionalmente.

Nel 1979, effettua la prima immersione oceanica con indosso una JIM suit (una delle tute da immersioni più famose) stabilendo il record femminile di 381 metri ad oggi ancora imbattuto.

Donna tenace e sempre alla ricerca dell’evoluzione tecnologica che le permettesse di esplorare una porzione più ampia del mondo acquatico, nel 1982 con l’allora terzo marito marito Graham Hawkes, ingegnere e progettista di sommergibili, fonda la Deep Ocean Engineering per sviluppare, gestire, supportare e fornire consulenza su sistemi sottomarini pilotati e robotici. Nel 1985, il team della Deep Ocean Engineering progetta e costruisce il sottomarino di ricerca Deep Rover, che opera fino a 1.000 metri di profondità. Earle lo testerà poi nel 1986.

Nel 1990 accetta la nomina a Chief Scientist presso la National Oceanic and Atmospheric Administration, prima donna a ricoprire questa posizione ci rinuncia nel 1992 una volta realizzato che, in quella veste istituzionale, non ha la possibilità di parlare liberamente a favore della salvaguardia radicale degli oceani.

Con il passare degli anni infatti, nelle sue immersioni e nelle sue esplorazioni, Earle si rende conto di quanto l’attività umana abbia impattato gli ecosistemi marini. Data la possibilità ricevuta di visitare numerosi paradisi acquatici, il tornarci a distanza di un tempo relativamente breve, e trovarli completamente aridi o inquinati la colpisce profondamente.

Nel 2009 dà quindi vita al progetto con cui spera di sensibilizzare la popolazione mondiale a mettere un freno allo sfruttamento indefesso degli oceani e della loro fauna.

Si tratta di Mission Blue che nasce con l’obiettivo di diffondere consapevolezza circa la drammatica situazione delle nostre acque e di creare una rete di Hope Spots, luoghi di mare tutelati e protetti che coprano, a tendere, aree sempre più vaste (il goal sarebbe stato la tutela del 30% degli oceani entro il 2030) e che favoriscano la riqualificazione di zone adesso distrutte dall’attività dell’uomo.

Dall’acqua infatti, come dice anche Carson nella citazione iniziale, discendiamo tutti noi e il nostro destino è strettamente interconnesso a quello dell’oceano senza il quale la vita sulla terra non sarebbe stata nemmeno possibile.

Sylvia Earle cerca di ricordarcelo costantemente con le sue azioni e con la sua determinazione. Alla soglia dei novant’anni infatti non ha nessuna intenzione di ritirarsi ma continua incessantemente a portare il suo messaggio in giro per il mondo.

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Fonte: Shutterstock
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