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20 Nov 17:18

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Gente di mare

Il Capitano Achab, la metafora dell’ossessione

Se avete visto The Whale, il film di Darren Aronofsky del 2022 tratto dall’opera teatrale di Samuel D. Hunter che ha fatto vincere l’Oscar a Brendan Fraser con la sua meravigliosa interpretazione di Charlie, il protagonista, ricorderete la tesina della figlia, che lui ripete come un mantra fino allo scioglimento finale, nel suo corpo reso ormai una trappola mortale dall’obesità.

Parla di Moby Dick, il capolavoro immortale di Herman Melville del 1851 reso celebre in Italia dalla traduzione di Cesare Pavese. Lei scrive che Melville ha messo apposta quelle pagine respingenti sul mondo delle balene, sulla loro fisiologia e biologia come per bloccare la narrazione di ciò che sta avvenendo e che giungerà a una tragica fine. Un po’ come per tentare di allontanare il lettore dalla sofferenza.

Un mare di tranquillità e tempesta

Sì perché il mare, da sempre sinonimo di vacanza, relax, gioia e bellezza, trova la sua perfetta antitesi quando l’uomo decide di sfidarlo. È indomabile, e dentro le sue profondità vive un altro mondo fatto di animali e vegetazione uniche, migliaia di specie tra cui la mitica balena bianca sfuggita già una volta al Capitano e che quest’ultimo decide di cacciare costi quel che costi.

Non pensiamo di spoilerare se vi parliamo un po’ della struttura di Moby Dick, il libro, un tomo di più di 700 pagine di cui più della metà naviga in acque calme, quasi soporifere, descrivendo la vita quotidiana sul Pequod, all’avventura in mare aperto e proprio quando sta per succedere qualcosa di avventuroso, epico, scellerato, Melville preferisce aggiungere capitoli tecnici che spezzano la narrazione, così da rendere la lettura una maratona, proprio come dev’essere salpare per mare a caccia di balene.

La spirale vendicativa: gli abissi del Capitano Achab

Ad Achab però non interessano tutte le balene presenti nelle acque, ne ha in mente solo una che occupa tutti i suoi pensieri e diventa la metafora dell’ossessione umana: Moby Dick è una balena gigante, bianca, l’unica che nella sua lunga carriera per mare sia riuscita a ferirlo in modo tale da prendersi la sua gamba, e l’unico suo desiderio è ucciderla. Una vendetta che gli annebbia la mente a tal punto da rischiare la vita di tutto il suo equipaggio per trovarla e darle battaglia, fino al peggiore degli esiti, la morte.

Una spirale discendente, una navigata verso l’abisso dei mari e della mente, ad avvalorare l’assioma che l’ossessione non porta mai a niente di buono. Un libro che ha una valenza avventurosa se letto in giovane età, e che durante la maturità assume la forza di un trattato di filosofia, potente e destabilizzante.

Il cuore oscuro dell’ossessione tra cinema e letteratura

Di quel libro sono stati fatti alcuni film tra cui un colossal hollywoodiano diretto da John Houston nel 1956, eppure The Whale di Darron Aronofsky riesce a colpire al cuore proprio come il libro di Melville, nonostante il legame apparente tra le due opere sia solo nel titolo, nella stazza del protagonista e nella tesina della figlia di lui, che ormai prova solo odio e risentimento per un padre che si è lasciato alla deriva, consapevole di stare morendo di obesità giorno dopo giorno, in un suicidio a lungo termine.

Ciò che avviene in questo film non ve lo diciamo, ma ha a che fare con l’ossessione, l’espiazione, la ricerca del perdono, la fine inevitabile. Chi sia la balena e chi il capitano Achab in questa ennesima lotta lo decidiamo noi, mentre rimaniamo senza parole sui titoli di coda. E anche stavolta, come in Moby Dick, la rarefazione dell’azione serve per proteggerci da una sofferenza profonda come il mare.

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Fonte: Shutterstock
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ACQUA DELL’ELBA ti accompagna in un viaggio che si snoda fuori dai sentieri battuti e che si fa a grandi passi, lungo bianche spiagge silenziose, o per le strade di collina, ma anche restando fermi, seduti su uno scoglio, ammirando un tramonto.

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