- 5 Agosto, 2024
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Botanica profumata
Soundings: scandagliare le profondità del mare per ritrovare l’eco di chi siamo
«Ormai lo so, siete creature uniche, straordinarie: sentinelle del mare, ingegneri dell’ecosistema, araldi del cambiamento climatico che si ripercuoterà su tutti noi. Ma dove cazzo vi siete cacciate?».
Anni fa Doreen Cunningham, ricercatrice e giornalista del BBC World Service, parte insieme a suo figlio Max, un cucciolo umano di due anni. Ma non è un viaggio qualsiasi: è una grande avventura di mare e un viaggio esistenziale coraggioso negli abissi dei propri guai, per ritrovare la rotta.
Mamma e figlio seguiranno il percorso di ritorno lungo la migrazione delle balene grigie. Dall’oceano Artico “le grigie” nuotano fino alle coste del Messico – le acque calde delle lagune dove vanno a partorire – e dopo qualche mese riprendono la via verso il Nord insieme ai piccoli balenotteri, tra predatori e difficoltà. Ogni anno percorrono più di 15000 chilometri, quasi due giri a nuoto intorno alla Luna.
«Diversamente da me, il mare non emette giudizi»
La vita di Doreen è a pezzi ma, come spesso capita per una decisione scriteriata, questa si rivelerà salvifica: una straordinaria lezione di adattamento e resistenza, una migrazione verso nuove opportunità. Max scoprirà le meraviglie della vita sottomarina, così fragile e a rischio, Doreen imparerà di nuovo a fidarsi di sé stessa e troverà una nuova famiglia umana e “oltreumana”.
«Questo libro è quello che ho sentito»
Il canto del mare è un memoir emotivo e un racconto avvincente, un interessante saggio di nature writing, un compendio di storia naturale, etnografia e biologia marina. È il resoconto di un altro viaggio, lungo la costa artica settentrionale dall’Alaska al Canada, a caccia di balene artiche – questa volta letteralmente – insieme all’equipaggio dei Kaleak, una famiglia di balenieri iñupiat di Utqiaġvik. È una storia d’amore, ma è anche e soprattutto un’attenta riflessione sul clima, una testimonianza intensa sullo stato di salute del nostro pianeta e dei nostri mari dedicata «A tutti i miei figli, a tutti i figli, umani e non umani».
«Non tutti i pionieri si assomigliano»
Avventuratevi tra le pagine di questa storia: vi perderete tra ghiacci e orsi polari, “whale fall” e “antropausa”. Incontrerete Sedna, la madre degli abissi, Earhart e le Sounders le “balene dello stretto” pioniere dell’adattamento, scoprirete la differenza tra misticeti e odontoceti e vi innamorerete di Billy, Max, Julia e Jeslie, di Bramble e tutti gli animali del pianeta. Ma non voglio rovinarvi il gusto della lettura, quindi non vado oltre e lascio parlare Doreen, a cui ho chiesto un paio di cose, non prima di averla ringraziata ancora per il suo racconto prezioso.
Ascolti ancora il canto del mare? Ora che è passato qualche anno dal tuo viaggio con Max, e che la questione ambientale è sempre più pressante, di cosa cantano le balene? Come sta il mare?
Il mare è ancora il mio luogo preferito! Attualmente mi trovo sulla costa occidentale dell’Irlanda e vado a nuotare con la mia famiglia. Adoro quelle comunità temporanee che si formano ogni giorno sulla spiaggia, con diverse generazioni che si godono il mare in modi diversi, che sia saltare tra le onde, nuotare, fare paddleboarding o leggere un libro e mangiare un gelato. Mi sembra sempre una festa, anche se c’è un bambino che fa i capricci o ci sono meduse da evitare.
Di cosa cantano le balene?
È una domanda così interessante. Sappiamo che i capodogli hanno diversi dialetti che vengono trasmessi dai genitori ai figli, un esempio di cultura che viene passata attraverso le generazioni.
Ovviamente non parlo il linguaggio delle balene, ma ho imparato tanto dalle “grigie”. Osservarle mi ha insegnato molte cose sulla maternità, la resistenza, la comunità, il superamento del trauma e la fiducia. Seguirle mi ha aiutato in uno dei periodi più difficili della mia vita. Sono anche un esempio di come le comunità possano trovare nuovi modi per affrontare le crisi. È qualcosa che dobbiamo imparare in questo periodo di emergenza climatica ed ecologica.
Una balena grigia pioniera chiamata Earhart, come Amelia Earhart, sta scrivendo la storia. È la mia eroina! È la fondatrice delle Sounders, un gruppo di balene che sta guidando verso una nuova fonte di cibo, una sorta di banca alimentare d’emergenza.
Le “grigie” sono guru della gestione dell’ignoto. Sono sopravvissute ad ere glaciali grazie alla loro flessibilità nella dieta e sono costruite per gestire bene lo stress. La loro preda preferita è un piccolo crostaceo abbondante nel freddo fango bentonico dell’oceano artico. Ma quelle acque si stanno riscaldando. Un massacro di balene grigie è iniziato nel 2019: centinaia sono state trovate morte, molte di esse malnutrite.
Gli scienziati stanno osservando ogni anno sempre più balene denutrite unirsi alle Sounders, arrivando in cattive condizioni e ripartendo ingrassate. È molto rischioso – potrebbero facilmente rimanere incagliate con la marea calante se sbagliano direzione o tempistica – ma Earhart le aiuta a navigare in sicurezza questo percorso. Le balene stanno creando una nuova narrativa per la loro specie contro ogni previsione e mi hanno anche portato a un nuovo inizio nella mia vita.
Ad un certo punto nel libro, parlando delle balene grigie, ti chiedi come fanno a sapere che è giunto il momento di partire, che cos’è che le spinge. Come specie: che fine ha fatto la nostra intelligenza istintuale? In termini ecologici soprattutto, ma non solo: perché non siamo più capaci, come collettività, di pensare alla nostra sopravvivenza?
Quello che è accaduto si chiama capitalismo: un capitalismo sfrenato che ha lasciato una totale devastazione al suo passaggio. Distrugge le comunità, interrompe le connessioni tra le persone, tra gli animali umani e non umani, e tra le comunità e la loro terra.
È difficile vedere al di fuori del sistema in cui viviamo, ma prendo in prestito le parole della scrittrice Ursula Le Guin: “Viviamo nel capitalismo, il suo potere sembra ineluttabile — ma così sembrava anche il diritto divino dei re. Qualsiasi potere umano può essere contrastato e cambiato dagli esseri umani. La resistenza e il cambiamento spesso iniziano nell’arte. Molto spesso nella nostra arte, l’arte delle parole.”
Inoltre, il capitalismo ci incoraggia a liquidare gli animali non umani come inferiori agli esseri umani, a vederli come una risorsa. Ma abbiamo moltissimo da imparare dalle altre specie.
Le altre specie con cui condividiamo il pianeta in questo momento, non dovremmo vederle solo come nostre vittime, ma anche come chi può salvarci. Ci siamo evoluti insieme, siamo cresciuti insieme e ogni specie ha il suo posto. Siamo tutti importanti in modi diversi, e penso che i nostri destini siano tutti intrecciati.
“Lasciai perdere il linguaggio, bastava il mondo”. Spesso nel libro le parole vengono a mancare, sono difettose, parziali, non sono abbastanza. È ancora possibile per noi umani imparare il linguaggio della natura e aprire un canale di comunicazione interspecie?
Una cosa semplice ma cruciale che possiamo fare è guardare al linguaggio che usiamo quando parliamo di altre specie. In inglese ci riferiamo agli animali come “esso”, il che li de-personalizza e implica una gerarchia della vita con gli animali umani in cima.
Ho trascorso del tempo ospite di una famiglia Iñupiaq (indigeni dell’Alaska) nell’Artico, dove tutta la comunità è centrata intorno alla balena della Groenlandia: materialmente, socialmente e spiritualmente. È stata un’esperienza che mi ha cambiato la vita, e una cosa che ho imparato è che le lingue inuit non hanno una parola per “esso”. La scrittrice Robin Wall Kimmerer propone che ci si riferisca agli animali non umani come nostri “simili, parenti” per dimostrare rispetto e comprensione della nostra interconnessione. Credo che cambiare come definiamo le cose possa cambiare il nostro modo di pensare al mondo e come ci comportiamo collettivamente. Mi sembra un buon inizio.
In inglese quella frase era «I let go of language, just let the world be». È interessante vedere come alcuni dei miei scritti cambiano in traduzione. È stato così rassicurante essere con l’equipaggio di caccia della famiglia Kaleak sul ghiaccio marino, all’interno di un sistema molto più grande di noi: le stagioni e le migrazioni di balene, caribù e oche. Mi sentivo come una piccola e insignificante parte del mondo naturale, non come ci si sente a far parte di un sistema che cerca di definire, dominare e monetizzare tutto il tempo.
Anche se penso alle balene ogni giorno, non ho fatto whale watching da quando ho scritto il libro. Ora cerco di non volare solo per piacere, a causa delle emissioni di carbonio. Le balene sono ovunque nella mia casa: ci sono foto di loro e disegni dei miei figli su tutte le pareti. Ma sento che la cosa migliore che posso fare in questo momento è parlare di loro, condividere i doni di forza e conoscenza che mi hanno dato, e lasciare con rispetto che vivano in tutta libertà.
Il canto del mare è pubblicato in Italia da Einaudi editore (traduzione di Duccio Sacchi)
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