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Gente di mare

La spiaggia solitaria di Franco Battiato

L’Italia e l’inizio degli anni Ottanta, un binomio che sa di mito per chi non c’era e di ricordo indelebile per chi ha avuto la fortuna di trovarsi lì, a vivere il sogno. Un’epoca in cui anche gli operai potevano permettersi di comprare casa, macchina e di fare le vacanze d’estate, in cui gli anni di piombo che avevano insanguinato il nostro paese sembrano lontani e il tanto agognato divertimento si fa strada nelle nostre vite.

In un clima di ritrovata spensieratezza, il mare è lo status symbol più democratico che ci sia, la vacanza perfetta, sia che si tratti di quello dei film di Vanzina, sia quello meditabondo e trascendentale di Franco Battiato, che proprio il 17 settembre del 1981 fa uscire un singolo che prelude all’album più ascoltato dell’anno successivo – quel 1982 in cui la Nazionale Italiana di calcio vince i mondiali di Spagna, e consegna alla leggenda Bearzot, Zoff, Paolo Rossi e tutti gli altri, in aereo con la coppa e il presidente Pertini raggiante.

L’eco del mare: un viaggio tra sperimentazione e poesia

“La voce del padrone”, questo il titolo del disco che tutti hanno ascoltato in macchina quell’anno. Un disco pop, ma molto strano, scritto e cantato da uno che il pop l’ha frequentato solo per cortesia, che viene dalla sperimentazione elettronica, dalle sinfonie esoteriche.

Tutti si ritrovano a cantare le strofe “Mare, mare, mare, voglio annegare, portami lontano a naufragare. Via, via, via da queste sponde, portami lontano sulle onde” nella canzone “Summer on a Solitary Beach”, l’estate su una spiaggia solitaria, e il mare in quel contesto ci appare così diverso da quello del turismo di massa, delle feste e delle danze.

Ci sono il garrito dei gabbiani e lo sciabordio delle onde, l’eco del cinema all’aperto, il minatore bruno che ritorna, il Grand Hotel Seagull Magique e quella voglia di essere portato via, una shakespeariana sindrome d’Ofelia che porta Battiato e tutti i suoi ascoltatori a cantare quelle strofe in cui si evince forte la volontà di evasione, di fusione col mare che ci porti via lontano.

Il mare di Battiato: evasione e riflessione tra le onde

Strofe leggere eppure profondissime, in cui ci sentiamo come dei Robinson Crusoe alla deriva, cullati dal vento e dalle onde alla ricerca di una nuova terra che forse non vedremo mai. Una canzone che ha ben poco a che vedere col tipico tormentone estivo, eppure che rapisce il cuore degli italiani (e non solo) che all’inizio di un decennio che promette svago, soldi ed edonismo, sognando in qualche modo la massima evasione possibile quella per mare, lo stesso che aveva stregato i marinai di Ulisse in “Itaca” di Lucio Dalla, ma anche il mare interiore, metafora massima di silenzio e meditazione ma anche un paesaggio da sogno, qualcosa a cui tornare più con la mente che col corpo, una distesa infinita di vita che, come la vita stessa, sa essere calma e placida oppure tumultuosa e devastante.
Eppure, questa necessità ascetica di Battiato incontrò il gusto e il favore di milioni di vacanzieri che quell’anno e gli anni a venire continuarono ad ascoltare nel mangianastri in macchina le onde sintetiche e i gabbiani digitali di una canzone immortale, capace di far ballare coi beat ma anche di aprire a profondità oniriche, dream pop ante litteram.

La perfetta sensazione del perdersi e ritrovarsi

Quante volte abbiamo associato al mare questo senso di enorme libertà e abbiamo provato, immergendoci tra le sue onde, la sensazione perfetta, estatica, come se fluttuassimo nel liquido amniotico, come se ci perdessimo per ritrovarci?
È un’emozione molto comune che Franco Battiato è riuscito così bene a fissare in una canzone immortale, che accompagna le nostre estati da più di quarant’anni e che riesce a calmarci quando tutto sembra vada troppo veloce. Non vi fa venir voglia di ascoltarla subito, chiudendo gli occhi, per poi ripartire con la vostra giornata?

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Andrey Belavin - Fonte: Pexels
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